25 agosto 2022, FB QdiCopertina
LA LETTERATURA È DIVENTATA UNA NON COSA
Le informazioni, che Byung-Chul Han nel suo saggio Le non cose chiama anche ebbrezza comunicativa, si piazzano davanti alle cose facendole sbiadire.
«Le informazioni simulano eventi. Si fondano sul brivido della sorpresa. Ma questo brivido non dura a lungo: ben presto emerge il bisogno di nuovi stimoli».
Leggendo queste righe del saggio ho pensato ai libri, ai romanzi, alla letteratura. Ogni giorno escono decine di nuovi libri, recensioni, citazioni, comunicazioni: informazioni che finiscono presto nell’oblio, sostituite da informazioni di altri libri, romanzi, letteratura. Ogni giorno ha la sua pena: dimenticare decine di buoni libri, condannare a un destino di irrilevanza testi che qualcuno ha creato, a volte con grandi capacità artistiche. Il destino di irrilevanza non è più denotato da una mancanza o una povertà intrinseca (il romanzo è brutto, per esempio) ma dalla stessa natura delle cose: che scompaiono nelle non-cose.
«Oggi le cose precipitano sempre più sullo sfondo della nostra attenzione. L’attuale iperinflazione degli oggetti, che conduce alla loro esplosiva proliferazione, è a sua volta sintomo di una crescente indifferenza nei loro confronti. Le nostre ossessioni non sono più indirizzate alle cose, bensì alle informazioni e ai dati. Ormai produciamo e consumiamo più informazioni che cose. Ci inebriamo con la comunicazione».
Sembra che Byung parli del mercato editoriale contemporaneo. Per lui le opere d’arte sono cose, persino le opere d’arte linguistiche come ad esempio la poesia. In un altro passaggio Byung ci parla di letteratura contro narrativa di intrattenimento o di evasione.
«La poesia quale costrutto formale di significanti, di segni parlanti, è quindi una cosa in quanto non si riduce al significato. Possiamo sì leggere una poesia (o una pagina di letteratura – aggiunta mia) puntando al significato, ma non è questa ad animarla. E’ l’eccesso di significante (di forma, di espressione) ad addensare la poesia in una cosa. E la poesia in quanto cosa oppone resistenza alla lettura che consuma senso ed emozioni, come capita coi gialli o coi romanzi più accessibili (i romanzi di intrattenimento ed evasione). Le poesie (la letteratura) non vanno d’accordo con la nostra era pornografica (tutto a nudo, tutto svestito) e consumistica. Per questo non leggiamo quasi più poesia e letteratura».
Chi fosse interessato a questi argomenti può leggere (proverà senz’altro un piacere maggiore di quanto abbia provato leggendo queste mie modeste citazioni) il libro di Byung-Chul Han Le non cose, edito da Einaudi Stile libero extra, Euro 13,50. Aggiungo solo quest’ultima citazione, che in tempi di Biennale d’Arte a Venezia mi sembra molto centrata:
«L’aspetto problematico dell’arte odierna consiste nella sua tendenza a comunicare un’opinione precostituita, una convinzione morale o politica. Essa cerca perciò di comunicare informazioni ma così facendo l’arte si riduce a mera illustrazione…non vi è alcun stato febbrile (ispirazione) a guidare il processo espressivo… l’arte diventa gravida di informazioni e discorsi. Vuole insegnare invece di sedurre».
22 agosto 2022, FB QdiCopertina
NOI E CĂRTĂRESCU
Di Mircea Cărtărescu (ultimo suo libro letto il meraviglioso Solenoide) è uscito recentemente un articolo sul quotidiano «Domani» dal titolo inequivocabile: Viviamo tempi invivibili, tutti con le spalle al muro. Cărtărescu ammette di essere vittima di una pesante depressione iniziata dopo il COVID, in modo inatteso, improvviso, pervasivo. Proprio lui, che non ne aveva mai sofferto!
E come se non bastasse poi è venuta la guerra, la minaccia nucleare, la crisi del riscaldamento globale e la siccità, la disumanizzazione tecnologica, l’affermarsi sempre più violento di Stati illiberali che non riconoscono i più elementari diritti civili e sociali.
Dice Cărtărescu che dopo la fine del Comunismo in Romania, e tra il 1989 e l’inizio del Covid in Europa, sono stati vissuti anni di “prosperità diffusa, felici, in uno spazio corretto, in un sistema sanitario e formativo che le teste coronate del passato non avrebbero nemmeno sognato”. Forse gli anni migliori dell’umanità.
Per noi che non siamo stati oppressi da quella che Cărtărescu chiama la dittatura comunista l’incanto è stato ancora più lungo; è cominciato negli anni Sessanta il meraviglioso stato sociale europeo.
Ma ciò che per Cărtărescu è stato l’inizio del sogno, il 1989, per noi è stato, anche se inavvertito, l’inizio dell’incubo, l’inizio dello smantellamento dello stato sociale in Europa, l’inizio di diseguaglianze e ingiustizie inaudite, e non è proprio detto che Covid, guerre, tragedia climatica, disumanizzazione tecnologica non abbiano inizio più o meno dove per Cărtărescu finisce il male.
8 marzo 2022, FB QdiCopertina
VITA E DESTINO, UN CAPOLAVORO DEL XX SECOLO
Vita e Destino è un capolavoro della letteratura del XX secolo. È stato scritto nel 1950 da Vassili Grossmann, un ucraino, che come giornalista aveva accompagnato l’esercito russo-sovietico nella difesa di Stalingrado durante l’aggressione nazista. Fu pubblicato postumo in Svizzera nel 1980 perché bandito dalla censura in quanto aveva anche denunciato alcuni crimini russi contro la libertà. Il suo racconto sposa le ragioni della Russia e anche noi lettori del XXI secolo ci identifichiamo con il soldato russo che difende la sua terra da un invasore. In questi giorni però, rileggendo quel libro, scatta dento di me una identificazione con i soldati ucraini che al pari di quelli russi raccontati da Grossmann si stanno difendendo, in questo caso paradossalmente, dall’esercito russo. Questo è il miracolo della letteratura che può far vivere virtualmente qualsiasi esperienza umana e adottare prospettive diverse.